Buon compleanno, Baguette!
Ciao a tutti!
Nel mio ultimo post ho salutato internet per concentrarmi sulla scrittura, e oggi posso dirvi che la cavernizzazione ha avuto successo. Le notti di Seth è stato scritto, riscritto, corretto, riscritto, ri-corretto, e ri-riscritto.
Non vedo l'ora che voi possiate leggere questa storia, e adorarla come io l'adoro.
Oggi sono qui anche per un'altra ragione. Come molti di voi sanno, infatti, il 7 maggio, nel mondo di Lilac, ricorre il compleanno di Margot Riford, a.k.a. Baguette. Creare questo personaggio è stata una gioia per me, dal primo capitolo di Perfetto all'ultimo di Infinito. Baguette è l'amica che avrei voluto avere crescendo, e quando penso a lei sento sempre un pizzico di nostalgia, perché mi manca darle voce a tempo pieno.
So che la migliore amica di Lilac è la preferita di tanti lettori, e anche per questo ho deciso di festeggiare il suo compleanno riaprendo la cartella 'Lilac' che ho sul pc e scrivendo un nuovo capitolo.
Mi auguro che ritornare nel mondo di Lilac possa farvi piacere. A me è piaciuto molto tornare a dedicare del tempo a questi personaggi.
ATTENZIONE: Se non avete letto l'epilogo di Infinito (La trilogia di Lilac #3), quello che segue rappresenta un gigantesco spoiler. Continuate a vostro rischio e pericolo.
Quello che state per leggere è un avvenimento che si svolge undici mesi dopo l'epilogo di Infinito (ovvero, se avete letto Petali di Rosa, un mese prima del racconto intitolato 'Sofea').
JJ la prima figlia di Lilac e Baguette, ha sei anni. Michael, il secondogenito, sta per compiere il suo primo compleanno. La voce narrante è quella di Baguette.
Buona lettura.
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Grazie per essere arrivati fin qui.
Buon fine settimana a tutti. Alla prossima!
Nel mio ultimo post ho salutato internet per concentrarmi sulla scrittura, e oggi posso dirvi che la cavernizzazione ha avuto successo. Le notti di Seth è stato scritto, riscritto, corretto, riscritto, ri-corretto, e ri-riscritto.
Non vedo l'ora che voi possiate leggere questa storia, e adorarla come io l'adoro.
Oggi sono qui anche per un'altra ragione. Come molti di voi sanno, infatti, il 7 maggio, nel mondo di Lilac, ricorre il compleanno di Margot Riford, a.k.a. Baguette. Creare questo personaggio è stata una gioia per me, dal primo capitolo di Perfetto all'ultimo di Infinito. Baguette è l'amica che avrei voluto avere crescendo, e quando penso a lei sento sempre un pizzico di nostalgia, perché mi manca darle voce a tempo pieno.
So che la migliore amica di Lilac è la preferita di tanti lettori, e anche per questo ho deciso di festeggiare il suo compleanno riaprendo la cartella 'Lilac' che ho sul pc e scrivendo un nuovo capitolo.
Mi auguro che ritornare nel mondo di Lilac possa farvi piacere. A me è piaciuto molto tornare a dedicare del tempo a questi personaggi.
ATTENZIONE: Se non avete letto l'epilogo di Infinito (La trilogia di Lilac #3), quello che segue rappresenta un gigantesco spoiler. Continuate a vostro rischio e pericolo.
Quello che state per leggere è un avvenimento che si svolge undici mesi dopo l'epilogo di Infinito (ovvero, se avete letto Petali di Rosa, un mese prima del racconto intitolato 'Sofea').
JJ la prima figlia di Lilac e Baguette, ha sei anni. Michael, il secondogenito, sta per compiere il suo primo compleanno. La voce narrante è quella di Baguette.
Buona lettura.
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Buon compleanno, Baguette
“Mi dici a cosa stai pensando? È da un minuto che sei in
silenzio. Non dirmi che sei preoccupata per Jonah: è un pescatore provetto, e
il mare è la sua seconda casa da quando è nato. La terza, se consideri anche
l’apiario.”
Lilac alza lo sguardo, sorridendo.
“Jonah non c’entra,” dice. “E comunque non stavo pensando, bensì riflettendo.”
Finisco di programmare una didascalia e mi giro verso di
lei. “Riflettevi su cosa?”
Lilac indica il vecchio giradischi da cui arriva la voce dei
Beatles.
“Questo sottomarino giallo di cui parlano: esisteva davvero?
Era un riferimento ai taxi di una volta? Perché volevano andare a viverci?”
Scoppio a ridere. “È una canzone,” dico, appoggiando il
tablet su una poltrona. “Una canzone che ha più di cento anni, fra l’altro.
Vuoi davvero interpretarla come fosse un testo sacro?”
“Certo,” esclama lei, incrociando le braccia sul seno. “Se
sono costretta ad ascoltare questa roba mentre tu organizzi la prossima
esposizione, voglio almeno capirne il significato.”
“‘Costretta ad ascoltare questa roba’? Vorresti dire che sei
qui ad annoiarti?”
Siamo nella sala più grande del mio museo, quella in cui ho trascorso
le ultime settimane per allestire la mostra dedicata ai vecchi dispositivi utilizzati
per scattare fotografie.
Da quando ho deciso che avrei organizzato l’esposizione,
Lilac mi è stata accanto per aiutarmi. Ha fatto ricerche tecniche per aiutarmi
a capire come funzionavano le macchine fotografiche provviste di rullino. Ha
creduto in me, quando il cavalletto di una macchina si è rotto e io ho
rischiato un esaurimento nervoso nei giorni necessari per ripararlo. Mi ha
aiutata perfino a lucidare i vecchi telefoni cellulari, quelli che avevano
anche una fotocamera.
“Sei proprio una pessima bugiarda,” le dico. “Come quel
burattino di legno. Te lo ricordi?”
“Pinocchio?”
“Proprio lui, brava.”
“Non mi sto annoiando,” dice Lilac, tirando fuori la lingua
per farmi una boccaccia. “Ma voglio capire. Allora? Cosa sai di Yellow Submarine?”
Prima di rispondere, le do un bacio sulle labbra.
“A quanto pare era una canzone per bambini. Uscì nel 1966,
se non sbaglio, e qualche anno dopo finì nella colonna sonora di un film
d’animazione che i Beatles avevano realizzato. In questo film, il sergente
Pepper viaggiava in un sottomarino giallo per andare a cercare i quattro di
Liverpool e chiedere loro aiuto, perché il regno in cui viveva era in
pericolo.”
Il viso di Lilac si illumina. “Ecco, vedi? Ora il testo ha finalmente
un senso!”
Sorrido insieme a lei, prima di indicare l’esposizione.
“Che ne dici, manca qualcosa? Le didascalie sono complete?”
Lilac osserva attentamente ogni pezzo della collezione. Solo
due macchine fotografiche, risalenti al 1970, provengono dall’eredità di Rose
Johnson; in questi anni, al museo sono arrivati oggetti antichi da tutto il
mondo, ed è grazie alla generosità dei cittadini di ogni continente che riesco
ad allestire tante mostre.
“È perfetta, Margot,” dice Lilac alla fine della
perlustrazione. “Hai fatto un ottimo lavoro.”
“Non chiamarmi Margot. Non mi piace quando mi chiami
Margot.”
Lei mi prende per mano e mi accarezza la guancia.
“Ti chiedo scusa, Baguette.” Mi dà un bacio. “La mia
Baguette.”
Quando usa il mio nome vero,
invece del mio vero nome, mi sento a casa. Coccolata, felice. Completa.
“Ho cercato di creare didascalie brevi,” continuo, indicando
le schede luminose che si trovano accanto ad ogni dispositivo. “Ogni visitatore
riceverà un chip con cui rivivere la mostra fuori dal museo. Sul chip c’è la
documentazione di ogni dispositivo: data di creazione e di utilizzo, usi e
costumi di quell’epoca, modifiche rispetto agli apparecchi precedenti. C’è
perfino un capitolo dedicato ad alcune famose fotografie scattate con quella macchina
digitale nel 2001.”
Lilac annuisce, soddisfatta.
“Quanta strada è stata fatta prima di arrivare al dito
magico, eh?”
Solleva l’indice verso di me, sorridendo.
Sotto il suo polpastrello, la sagoma del chip fotografico si
illumina mentre Lilac pensa alla foto da scattare. Quando la luce si spegne, vuol
dire che lo scatto è stato catturato. Lilac punta il dito verso il centro della
stanza, dove si trova il Cubo. La scatolina blu, attaccata lì dove una volta si
trovavano i lampadari, ha il compito di elaborare le immagini, i video e i
testi in entrata e in uscita. Al giorno d’oggi, c’è un Cubo in ogni stanza, in
ogni casa.
Lilac punta il dito verso il Cubo per un secondo. Il chip di
ricezione cattura la foto e la proietta nella stanza sottoforma di ologramma
tridimensionale. Poi Lilac agita l’indice come fosse una bacchetta, per salvare
lo scatto nel nostro album condiviso.
“Possiamo andare?” domando, iniziando a raccogliere le mie
cose. “Tuo fratello è un bravo pescatore, ma ho qualche dubbio sul suo talento come
cuoco. E alla cena di stasera tengo particolarmente.”
Lei annuisce. “Andiamo,” risponde sorridendo. “I bambini ci
aspettano.” Spegne il giradischi, sollevando la puntina con delicatezza e
infilando il disco nella custodia vecchia di almeno cento anni. I suoi
movimenti sono lenti e accorti, proprio come le ho insegnato.
Quando Lilac ed io ci occupiamo delle mostre, JJ e Michael
si fermano nel giardino del museo che Francesca ama tanto. È Lilac ad
occuparsene, e so che lo fa per accontentare sua nonna. A Francesca piace
venire qui per sedersi su una delle panchine e guardare il bellissimo panorama
che si affaccia sulla baia.
JJ adora sedersi sull’erba per leggere, e Michael, che il
mese prossimo compirà un anno, non perde occasione per imitarla, o per
esplorare le aiuole, a caccia di ragni e lucertole.
Ma oggi, quando Lilac ed io usciamo nel giardino, JJ e
Michael non sono nella posizione in cui li abbiamo lasciati al nostro arrivo.
Lui è impegnato a mangiare un pugno d’erba con gusto, vicino ad un cespuglio, e
JJ se ne sta in disparte, su una panchina. Piangendo.
“JJ?”
“Tesoro, che succede?”
Mi avvicino alla panchina per controllare le ginocchia di
mia figlia velocemente, alla ricerca del segno di una caduta, mentre Lilac va
da Michael, per prenderlo in braccio.
“Tesoro, che succede?” ripeto a JJ.
Lei asciuga le guance bagnate con la mano sinistra.
“Maman,” dice balbettando.
Allunga le braccia verso di me, prima di lasciar andare un
singhiozzo disperato. La prendo in braccio, lasciando cadere la tracolla sul
prato e stringendo la bambina a me.
“Amore, cosa succede?”
Mi giro verso Lilac, preoccupata come me.
“JJ, perché piangi?” chiede.
“Oh, mamma.”
Mi siedo sulla panchina, sistemando JJ sulle ginocchia.
“Che cosa è successo? Hai visto un’altra lucertola nera? Ti
sei spaventata?”
Lilac si inginocchia davanti a noi, sistemando Michael
sull’erba dopo avergli pulito la bocca e le mani.
“JJ?”
“Ho appena scoperto una cosa orribile,” dice lei con un filo
di voce. “Sto piangendo perché ho appena fatto una scoperta orribile.”
Lilac ed io ci guardiamo nello stesso istante. La scoperta orribile che ha ridotto nostra figlia in
lacrime può essere soltanto una.
Non le abbiamo ancora raccontato la verità. Su Vega G, e sul
mondo prima del nostro viaggio a Torino, prima della città eterna, prima della
nostra adolescenza a Malorai. La verità circa quello che abbiamo fatto quasi
vent’anni fa.
JJ è incredibilmente matura e intelligente, ma ha solo sei
anni. Non ha bisogno di sapere che c’è stato un tempo in cui i maschi sopravvissuti
al virus erano costretti a vivere nascosti, mentre le donne credevano che si
fossero estinti. Non ha bisogno di sapere che mentre nonna Irene stava per
nascere, una donna malvagia programmava ed eseguiva il più grande genocidio della
storia, quello del sesso maschile.
JJ deve aver scoperto la verità da sola. Ha sempre un tablet
nelle mani; è attenta, curiosa. Deve aver letto da qualche parte cosa è
accaduto.
So che Lilac sta pensando quello che penso io. Me lo dicono
i suoi occhi marroni, che nascondono male la preoccupazione provocata dal fatto
che, proprio come me, non si sente pronta per questo momento. Sapevamo che
sarebbe arrivato, ma non pensavamo che sarebbe accaduto così.
“Cosa… Cosa hai scoperto, esattamente?” chiede Lilac. “Come
hai… Come hai fatto?”
JJ tira su col naso, e indica Michael.
“Eravamo sull’erba,” dice. “Io avevo appena finito di leggergli
una storia.” Indica il suo tablet abbandonato sul prato. “Era la storia di
un’antica divinità che aveva un martello molto grande e lo usava per combattere
i suoi nemici, scatenando fulmini e tuoni. Quando ho raggiunto la fine, ho
chiesto a Mickey…”
JJ guarda suo fratello, e il mento inizia a tremarle forte.
I suoi occhi, azzurri come i miei, si riempiono di lacrime.
“Gli ho chiesto ‘Ti è piaciuta questa storia?’ E lui… Lui mi
ha sorriso. E poi ha annuito. E poi… Poi mi ha abbracciato!” esclama,
scoppiando a piangere. “Mickey si è alzato da terra, è venuto accanto a me e mi
ha gettato le braccia al collo! È la prima volta che lo fa da quando è nato. Finora
non mi ha mai dimostrato il suo affetto in questo modo. Mi ha abbracciato,
proprio come ho fatto tante volte con lui, ed è rimasto così per un lungo
momento.” Le sue parole sono distorte a causa del pianto. “È stato un momento
meraviglioso. È stato il momento più bello della mia vita!”
Lilac ed io ci guardiamo di nuovo negli occhi. Confuse.
“JJ, sarebbe questa la scoperta orribile?” chiede Lilac. “È
per questo che stai piangendo? Perché Mickey ti ha abbracciato?”
Lei scuote la testa con forza.
“Quando mi ha abbracciato, l’ho stretto a me,” dice, mimando
i gesti. “E in quel momento mi sono resa conto di una cosa orribile. In quel
momento ho iniziato a piangere.”
“Cosa?!” esclamo. “Cosa hai scoperto?”
“Ho scoperto che…” Fa un grande respiro prima di andare
avanti. “Mi sono resa conto, maman, che prima o poi moriremo tutti,” dice,
prima di ricominciare a piangere. “Prima o poi Mickey non ci sarà più. Io non
ci sarò più. Voi due non ci sarete più. Tutto ha una fine. Anche le cose più
belle. Anche gli abbracci di mio fratello. È per questo che sto piangendo. È
per questo che sono così triste!”
Si volta verso Lilac, che la guarda con un’espressione
ancora più confusa, identica alla mia.
“Come possiamo fare, mamma?” domanda tra le lacrime.
“Dobbiamo trovare una soluzione, prima che Mickey cresca e se ne renda conto come
ho fatto io. Dobbiamo risolvere questo problema.”
Accarezzo i capelli di mia figlia mentre Lilac allunga una
mano per portare via le lacrime dalle sue guance. Le sorride, mentre il mio
cuore si riempie di quel sollievo scomparso quando JJ ha parlato di una
scoperta orribile.
Lilac mi guarda, chiedendomi in silenzio di parlare per
prima. Annuisco velocemente, con un sorriso.
“JJ, hai ragione, tesoro. Quella che hai appena fatto è una
scoperta orribile. Vera, e orribile. Tutto ha una fine, è così, ma ciò non vuol
dire che devi piangere per questo. Ciò non vuol dire che devi esserne triste.
Prima che arrivi la fine,” dice Lilac, accarezzando la sua guancia, “ci sono
tante cose da fare, da vedere, da-”
“Ma la fine arriverà! Per tutti!”
“Tra cento anni,” intervengo con un sorriso che ha
l’obiettivo di far sparire la tensione che c’è nei suoi lineamenti. “O
centocinquanta. Non adesso. Non domani. Sai quanto sono lontani cento anni?”
“Molto lontani,” dice
Lilac. “Tu sei molto brava in matematica, JJ: sai quanti giorni ci sono in centocinquant’anni?”
JJ unisce le sopracciglia per qualche istante, prima di
regalarle un’occhiata di chiara disapprovazione.
“Mamma, sono troppo provata in questo momento per fare una
moltiplicazione.”
Sia Lilac che io cerchiamo di trattenerci dal ridere, mentre
nostra figlia sospira affranta.
“In centocinquant’anni ci sono più di cinquantamila giorni,”
dice Lilac. “Sai quante cose potrai fare in tutto quel tempo? Quanti posti potrai
visitare? Quanti libri potrai leggere? Quante persone potrai conoscere?”
“E questo dovrebbe farmi stare bene?”
“Certo,” rispondiamo nello stesso momento.
“In che modo?” chiede la bambina, incrociando le braccia
davanti a sé. “Voglio una risposta razionale, per favore.”
“Dovrebbe farti stare bene,” dico lentamente, “perché invece
di pensare alla fine della vita puoi pensare a tutto quello che c’è nel mezzo,
a tutto quello che la vita ha in serbo per te e per Mickey. Puoi pensare a
tutte le cose che scoprirete insieme, a tutte le persone che conoscerete, a
tutti i viaggi che farete.”
“E questo deve essere un motivo di gioia per te,” aggiunge
Lilac. “Non di tristezza.”
“Voi due state cercando di distrarmi dal vero problema,”
mormora JJ, imbronciata.
Guarda da me a Lilac per qualche istante, e poi verso Mickey,
che se ne sta seduto ad osservare una coccinella che gli cammina sulla mano.
“No,” dico a mia figlia. “Noi stiamo cercando di farti
capire che sei di fronte ad una scelta. Puoi continuare a piangere, perché in
un futuro molto lontano moriremo, oppure
puoi sorridere e pensare al presente, e a tutto ciò che il domani ha in serbo
per te.”
Lilac ed io la guardiamo con attenzione, sperando che le
nostre parole abbiano sortito l’effetto desiderato. JJ riflette per un po’ in
silenzio. Poi si gira verso di me, gesticolando mentre inizia a parlare.
“Posso fare entrambe le cose, maman? Pensare alle cose
belle, e poi piangere perché tutto…” Si ferma, quando il mento inizia a
tremare. Cerca di trattenere le lacrime, e con un respiro profondo ci riesce. “Pensare
alle cose belle, e poi piangere perché tutto è destinato a finire?”
“Certo che puoi,” dice subito Lilac, con un’espressione
seria. “Puoi fare entrambe le cose. Anche se…”
Scrolla le spalle, facendomi l’occhiolino mentre JJ è
distratta.
“Oh, è vero,” dico io, annuendo con vigore. “Hai ragione,
Lilac.”
“Cosa?” chiede la bambina, alzando la testa. “‘Anche se…?’
Cosa volevi dire, mamma? Cosa mi state nascondendo?”
“Nulla,” risponde Lilac. “Non ti stiamo nascondendo nulla. È
solo che… Da un punto di vista logico e razionale, a cosa serve pensare al
fatto che moriremo? Ci hai pensato, JJ? Sei libera di farlo, io e maman non te
lo impediremo, ma da un punto di vista razionale, a cosa può servire essere
triste per una cosa simile?”
JJ sembra confusa per qualche istante. Poi i suoi occhi si
illuminano con una certezza.
“Beh, ma se ci pensiamo,” dice, “allora possiamo risolvere
il problema. Se continuiamo a pensarci possiamo trovare una soluzione!”
“Ma la soluzione esiste già,” dico io. “La soluzione è stata
già trovata.”
“Ovvero?”
“Lo sai,” dice Lilac, prendendo le sue mani, “che cinque o
sei secoli fa le persone morivano a trent’anni?”
“Sul serio?”
Lilac annuisce. “Allora la vita era molto più breve. Le
condizioni igieniche, le malattie, le carestie, le guerre: c’erano molti elementi
che impedivano alle persone di avere una lunga vita. Cinque o sei secoli fa,”
aggiunge sorridendo, “io e maman saremmo state considerate due donne anziane,
pronte a morire.”
JJ mi guarda, sorpresa. Annuisco con vigore, per confermare
le parole di Lilac.
“E poi cosa è successo?” chiede la piccola.
“Poi le condizioni mediche e sociali sono migliorate,”
risponde Lilac. “La scienza ha trovato le cure per quei problemi di salute che
causavano malattie e morte. Le persone hanno iniziato a studiare, e sai bene
che chi studia…”
“…vive meglio di chi non studia,” finisce JJ. “Lo so, me lo
dici sempre.”
“Perché è la verità,” ribatte Lilac, picchiettando un dito
sul suo nasino. “Quando le condizioni sono migliorate, anche l’aspettativa di
vita si è allungata. E così, di anno in anno, l’umanità ha trovato un modo per
ritardare la morte. C’è stato un tempo in cui i centenari era una rarità, sai?
Oggi, invece, avere cento anni è normale come averne sei. E le stime attuali
prevedono che la tua generazione vivrà fino a raggiungere i centosessant’anni.
Come puoi vedere, quindi, nel corso della storia l’umanità ha trovato una soluzione al problema. È logico pensare che le condizioni miglioreranno ancora,
e la vita continuerà ad allungarsi.”
“Quindi non devi piangere,” dico io, accarezzandole la
schiena. “Perché la nostra fine è davvero molto
lontana. Sei solo una bambina, JJ. Non-”
“Non dirmi così, maman,” mi interrompe lei, iniziando ad
agitarsi sulle mie ginocchia. “Lo sai che mi dà fastidio quando dici che sono
una bambina.”
“Ma tu sei una bambina.”
“Sì, ma non dirlo con quel tono di voce, per favore. Sono
una persona intelligente. Puoi dire che sono una persona intelligente, oppure
una donna. Ma non ‘bambina’, come se fossi… come se fossi una…”
“Una bambina?” chiedo, sollevando un sopracciglio.
JJ si affretta ad incrociare le braccia e a regalarmi
un’occhiata furibonda.
“Non prendermi in giro,” brontola.
“Oh, tesoro, non ti sto prendendo in giro,” dico, scoppiando
a ridere.
L’attiro a me per baciarle la guancia, e dopo un po’ di
resistenza lei allarga le braccia e si lascia stringere.
Nel frattempo, Michael si alza da terra e si avvicina,
titubante sui suoi passi. Lilac allunga la mano, e lui l’afferra subito,
sorridendo.
“Non ti sto prendendo in giro,” dico a JJ ad un certo punto.
“Voglio solo dire che hai sei anni, e davanti a te ci sono tanti anni da vivere
con gioia, e da riempire di esperienze fantastiche, piene di sorrisi.”
“Sei solo all’inizio del tuo percorso,” continua Lilac. “Hai
centinaia di migliaia di momenti da vivere e costruire, per conto tuo e con i
tuoi amici, o con la tua famiglia. Concentrati su questo, tesoro, almeno per
adesso. In futuro, quando la fine sarà più vicina di adesso… beh, allora magari
potrai essere triste. Ma non adesso. Vuoi che tuo fratello ti veda preoccupata
e triste?”
Lilac accarezza i capelli rossi di Michael, che sorride di
nuovo prima di alzare lo sguardo verso JJ. Allunga le braccia, e lei si
affretta subito a scendere per inginocchiarsi sull’erba e stringerlo a sé.
“Mickey,
Mickey, Mickey,” mormora commossa. “Ti voglio tanto bene, fratellino. Sei
così perfetto e meraviglioso che per un attimo ho avuto paura di perderti.” Gli
accarezza la schiena e i capelli, prima di guardarlo negli occhi. “Ma le nostre
mamme mi hanno convinta: è ancora troppo presto per temere la fine.” Gli dà un
bacio sulla guancia, e lui risponde con un bacio e un sorriso.
“Mamma,” dice JJ. “Prima hai parlato delle stime sull’aspettativa
di vita della mia generazione.”
“Sì,” dice Lilac, alzandosi da terra.
“Vorrei leggerle. Posso?”
Mano nella mano con Michael, JJ si avvia verso il monovolume
che ci aspetta in strada.
“D’accordo,” risponde Lilac.
“E voglio parlarne ancora,” continua. “Voglio capire bene in
che modo la vita si è allungata nel corso dei secoli, e perché. E poi voglio
parlarne anche con zio Elia, perché lui sa un mucchio di cose che voi non
sapete.”
“Oh, sul serio?” esclamo, raccogliendo la mia tracolla per
seguire il gruppetto. “Pensi davvero che tuo zio ne sappia più di noi?”
Lei annuisce come se niente fosse. “Su molte cose,”
risponde. “È stato lui a dirmelo.”
“Beh, allora sarà vero,” esclama Lilac ridendo.
Apro lo sportello posteriore, e sistemo Michael a bordo, sul
sedile dedicato ai più piccoli. Quando JJ sale al suo fianco, la osservo mentre
allaccia la cintura di sicurezza di suo fratello e poi la sua.
“Sei molto intelligente, JJ,” dico, portando via l’ultima
lacrima dalla sua guancia. “Lo sai?”
Lei annuisce subito.
“Mickey non potrebbe avere una sorella migliore,” dice
Lilac.
JJ prende la mano di suo fratello, e la stringe con dolcezza
prima di lasciare un bacio sul dorso.
“Spero che lui non faccia mai la mia stessa scoperta. Mi
sono spaventata molto, lo sai?”
“Lo so,” risponde Lilac. “Io e maman ce ne siamo rese conto.
Sei ancora spaventata, tesoro?”
“No. Ora che ne abbiamo parlato sono più tranquilla. Grazie,
mamma. Grazie, maman.”
Nel viaggio che ci porta a casa di Jonah, Lilac tiene una
mano sul volante e l’altra nella mia. I bambini, dietro di noi, impiegano meno
di un minuto per addormentarsi. Lo fanno sempre quando sono in macchina. E ogni
volta si tengono per mano.
“Noi siamo cresciute pensando alla morte come ad una parte
naturale della vita,” dico a Lilac ad un certo punto. “Lo è, però…”
“Noi siamo cresciute pensando alla morte come ad un passo
quasi obbligato,” ribatte lei a voce bassa, guardandomi negli occhi. “Sapevamo
che a volte, per fare in modo che una donna nascesse, un’altra donna doveva
morire.”
Annuisco.
È ciò a cui abbiamo creduto per diciotto anni. È ciò che il
governo di Vega G ci ha fatto credere.
“Forse la reazione di JJ alla realizzazione che siamo tutti
destinati a morire non è così sbagliata,” dice Lilac ad un certo punto. “La
morte è lontana, e pensarci adesso è una gran perdita di tempo, ma forse…” Si
ferma, sospirando. Quando mi guarda, i suoi occhi sono lucidi. “Forse è così
che ognuno dovrebbe reagire la prima volta che se ne rende conto: con orrore,
con paura. La morte è un evento drammatico. È la fine di tutto. Essere triste,
quando lo capisci, dovrebbe essere la norma.”
Lilac frena in corrispondenza del bivio alla fine del
lungomare, dietro alcune auto in coda per svoltare. Si guarda nello specchio,
per asciugare gli occhi. Poi scuote la testa, sorridendo.
“Fare paragoni con il passato è inutile,” dice scrollando le
spalle. “Eppure non è semplice come sembra.”
“Lo so,” sussurro. “Loro crescono,” continuo, indicando i
bambini che dormono, “e io penso spesso alla mia infanzia, e al modo in cui le
cose sono cambiate in questi vent’anni.”
Lilac annuisce. “A volte è difficile non farmi influenzare,
sai?”
“Ti capisco, Lilac. Ma noi insieme possiamo farcela.”
“Perché siamo buone madri?” chiede sorridendo.
“Perché siamo ottime
madri.”
“Ne sei sicura?” domanda, sollevando un sopracciglio.
“Perché secondo ‘zio Elia’ io e te non sappiamo niente di niente.”
“Incredibile!” esclamo, scoppiando a ridere. “Che faccia
tosta. Non vedo l’ora di rivederlo per chiedergli spiegazioni al riguardo.”
Lilac annuisce con un’espressione complice. “Lui e Sofia
verranno per il compleanno di Michael, il mese prossimo.”
“Bene. In quell’occasione lo metteremo sotto torchio.”
“‘Sotto torchio’? Che vuol dire?”
“È un antico modo di dire,” rispondo. “Non lo conosci?”
“No.”
“Ti racconto la sua origine?”
“Ho forse scelta?”
“Lo dici come se non adorassi ogni momento in cui tiro fuori
qualche aneddoto riguardante il passato.”
“Hai ragione,” dice Lilac. “Adoro ogni storia riguardante il
passato. E adoro te,” aggiunge, quando ci fermiamo davanti alla villetta di
Jonah, in mezzo alla biposto di Irene e a quella di mia madre.
Dal gazebo, Jonah solleva un braccio per salutarci. Con lui,
oltre alle nostre madri, ci sono alcuni dei nostri amici: Rita, Andrew e
Maurizio, con i loro genitori, Carolina. E perfino Sarah, arrivata ieri da Bro.
“Sono tutti qui,” esclamo.
“Pensavi non sarebbero venuti? L’occasione è importante,”
risponde Lilac.
Prima che io apra lo sportello per scendere, lei mi
trattiene per la mano e mi dà un bacio lento, che mi fa battere il cuore. Alla
fine, sorride con un’espressione felice. “Buon compleanno.”
“Buon compleanno…?” sussurro sulle sue labbra.
Lilac ride.
“Buon compleanno, Baguette.”---
Grazie per essere arrivati fin qui.
Buon fine settimana a tutti. Alla prossima!
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